“L’alfa e l’omega della teoria politica è il problema del potere: come lo si acquista, come lo si conserva e come lo si perde, come lo si esercita, come lo si difende e come ci si difende da esso” (BOBBIO 1992: 159). Non si può comprendere la politica o il diritto, e nemmeno lo Stato, se non si comprendono la logica e le funzioni del potere.
Weber parla di «lotta» quando qualcuno tende a imporre il proprio volere a qualcun altro che oppone resistenza (1999 I: 35) e vede nel «potere» la capacità di far valere la propria volontà in uno stato di lotta (1999 I: 51-2). È stato anche notato che non c’è potere senza libertà: i due princìpi sono affini. “Potere è semplicemente il nome con cui si chiama nella vita politica e sociale la libertà umana, la facoltà di scegliere cosa fare” (DUNN 1983: 178). Ora, la libertà può originare dalla forza oppure dal diritto. E qui il cerchio si chiude intorno a questi pochi concetti (forza, diritto, potere e libertà) che si autoalimentano.
In genere, chi è in grado di esercitare un potere, o con la forza delle armi o con quella di un’ideologia strumentale, “cerca di suscitare e di coltivare la fede nella propria legittimità” (WEBER 1999 I: 208). Il diritto è una forma di cultura e, come tale, si limita ad operare a livello ideologico, in ciò servendosi del fondamentale apporto di funzionari fedeli, scelti per le loro competenze artistiche, letterarie e religiose, oltre che le loro qualità carismatiche. Weber distingue tre tipi puri di potere legittimo (WEBER 1999 I: 210) e parla di potere razionale, quando il popolo ritiene che chi detiene il potere ne abbia tutto il diritto (ne è un esempio il potere amministrativo-burocratico), di potere tradizionale, quando il popolo vede nel potere qualcosa di sacro, sancito da una tradizione che si perde lontano nel tempo (ne sono esempi la gerontocrazia e il patriarcalismo), di potere carismatico, quando il potere poggia sulla dedizione straordinaria del popolo nei confronti di una persona, ritenuta dotata di qualità eccezionali. “Il gruppo di potere di questa specie costituisce una comunità di carattere emozionale” (WEBER 1999 I: 239). Il diritto serve a istituzionalizzare il potere di una classe dominante, di qualunque tipo esso sia, a legittimarlo e renderlo stabile anche senza dover ricorrere di volta in volta alla forza.
La legittimazione si accompagna alla volontà dei sottomessi di ubbidire alle autorità costituite dà origine alle istituzioni pubbliche, ovvero ad organismi che sono in gradi di funzionare anche senza dover ricorrere necessariamente alla forza. L’esperienza, tuttavia, insegna che è bensì vero che uno Stato legittimato si libera dallo stretto legame col principio di lotta, ma non se ne libera mai totalmente, anzi continua ad avere bisogno di una forza considerevole.
Il principio di forza vale anche nei rapporti fra Stati. Si parla di guerra quando due o più Stati ricorrono alle armi per dirimere una certa questione che li vede in disaccordo. A differenza dell’incursione armata, che può essere estemporanea e di rapida esecuzione, la guerra è premeditata e presuppone un accurato piano d’azione, un’adeguata organizzazione e una strategia.
Dalla forza origina il Diritto e lo Stato
15 anni fa
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