lunedì 10 agosto 2009

6. La guerra vera e propria

Non sempre si combatte per acquisire beni: talvolta si usa la forza per acquisire uno spazio vuoto, dove insediare la propria gente, i propri animali e le proprie cose. In questo caso, la guerra è di tipo politico e si svolge non più fra singoli signori, bensì fra Stati, e con l’obiettivo di conquistare un territorio. La guerra diventa allora il modo naturale e ineliminabile attraverso il quale gli Stati regolano i propri rapporti (Platone Leggi I, 626a; 625e). Solo uno Stato bene amministrato è anche “organizzato in modo da vincere in guerra tutti gli altri” (Platone Leggi I, 626c). È, perciò, dovere primario di ogni Stato organizzarsi in modo tale da poter imporre agli altri Stati la propria legge, anziché subirla. Ora, quando la guerra pone di fronte due popolazioni diverse per cultura e per lingua, allora essa svolge, secondo i greci, un effetto benefico anche per i vinti i quali, grazie proprio alla sconfitta, ricevono l’effetto civilizzatore della potenza superiore. Il concetto di «guerra giusta» è semplicemente ignorato dai greci, per i quali la guerra è un semplice rapporto di forza fra due popoli ed è naturale che il più forte si imponga sul più debole, mentre sarebbe innaturale il contrario. È inutile, pertanto, chiedersi se c’è giustizia in un rapporto «naturale».
Questo tipo di guerra si afferma per la prima volta nel vicino Oriente, intorno a 4.5 Kyr fa, quando numerose popolazioni nomadi si contendevano degli spazi territoriali all’interno di una regione affollata. Da questo momento, la guerra diventerà compagna assidua dell’uomo, il quale, anziché provare disgusto nei suoi confronti, troverà il modo per giustificarla e perfino esaltarla.
Nell’Antico Testamento, queste guerre territoriali acquisiscono un significato religioso: se Dio comanda di attaccare dei nemici, la guerra non può essere che giusta. I nemici di Dio sono, per definizione, esseri impuri e sacrileghi: essi devono essere eliminati e rimpiazzati da nuova vita. Talvolta, anche gli animali dei nemici sono considerati impuri e, per la stessa ragione, anch’essi vengono eliminati. Il risultato finale è il genocidio, l’eliminazione di una popolazione allo scopo di prenderne il posto. Si tratta di un rinnovamento totale. Nella guerra di religione, il fattore ideologico prevale su quello economico. Ma come conciliare la legittimità della guerra con il comandamento di non uccidere? Gli ebrei non si pongono questo interrogativo: essi non osano sindacare la volontà di Dio, anche quando essa sembra orrenda e contraddittoria. Chi combatte guerre di religione non si pone molte domande e il dubbio è estraneo al suo pensiero.

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